La leggenda di Marco van Basten
Il 31 ottobre 1964 nasceva Marco van Basten, fuoriclasse leggendario della storia del Milan
Elegante, raffinato, leggiadro. Ma al tempo stesso potente, freddo, intelligente. In tre parole: Marco van Basten. In una: fuoriclasse. Una leggenda vivente per le vittorie raccolte con il Milan e per i premi personali, avvolta da un alone quasi epico per il ritiro precoce dal calcio giocato, ma anche il prototipo di un centravanti fenomenale e moderno: un numero “9” a tutti gli effetti per l’implacabilità sotto porta e la capacità di segnare in ogni modo possibile, ma anche un “10” grazie a una tecnica fuori dal comune. Campionissimo per tutti, vero e proprio mito per i milanisti.
Marcel van Basten (per tutti, Marco) nasce il 31 ottobre 1964 a Utrecht, nei Paesi Bassi. Tira i primi calci al pallone in alcuni piccoli club della sua città, crescendo e formandosi già da bambino in un clima di effervescenza calcistica non da poco: gli anni del calcio totale dell’Ajax e dell’Olanda di Cruyff, dei Mondiali del ’74 dominati (ma persi) dagli Orange, della rivoluzione di Michels e di un modo totalmente nuovo di concepire il gioco del calcio.
Marco arriva all’Ajax tardi, a 17 anni, ma si impone in fretta: in sei anni segna una caterva di gol (vincendo quattro anni di fila la classifica cannonieri) e fa incetta di titoli nazionali con i Lancieri. È durante il periodo ad Amsterdam che emergono i primi problemi fisici (ed è qui che subisce il primo intervento alla caviglia), ma sono complessivamente anni straordinari che gli valgono la chiamata della vita: quella dell’ambizioso e visionario Milan di Silvio Berlusconi.
“Adriano, vai e colpisci”: van Basten-Berlusconi, un amore nato in videocassetta
La raffinatezza e la classe di van Basten non lasciano indifferente Berlusconi, fine esteta del pallone e folle amante dei calciatori di talento. Il Cavaliere ne ammira le gesta in videocassetta e se ne innamora perdutamente: il Cigno di Utrecht avrebbe dovuto giocare per il suo Milan, il cui fine è quello di vincere e dominare il gioco su ogni campo, in Italia, in Europa e nel mondo. “Vai e colpisci”, lo sprone al fido Adriano Galliani prima che parta alla volta di Amsterdam. Missione compiuta.
È così che Marco van Basten arriva in rossonero. Un acquisto in sordina rispetto al connazionale Ruud Gullit, pagato quasi otto volte tanto e destinato di lì a pochi mesi a vincere il Pallone d’Oro. Il 1987 è un anno spartiacque per la storia del club: cambiano entrambi gli stranieri della rosa (e l’anno successivo, con Rijkaard, ci sarà spazio anche per il terzo “olandese”), arrivano importanti rinforzi italiani e in panchina siede Arrigo Sacchi. Romagnolo, semi-sconosciuto al grande pubblico, ha alle spalle una lunga gavetta nelle serie inferiori e un passato da rappresentante di scarpe dell’azienda di famiglia. Una scelta coraggiosa fatta da Berlusconi in persona, che si rivelerà la migliore possibile.
L’inizio del nuovo corso è negativo. Il Milan assorbe con fatica le idee rivoluzionarie del nuovo allenatore e stenta per risultati e gioco, scivolando lontano dai vertici della classifica. Van Basten parte bene, segnando all’esordio a Pisa, ma poi fa subito i conti con la caviglia che lo tormenterà per tutta la sua carriera da calciatore (e non solo): è costretto a operarsi e ad affrontare una degenza lunga parecchi mesi di riabilitazione e sofferenza. La squadra, invece, con le settimane ingrana e riprende quota, arrivano sino alle prime posizioni.
Marco torna in campo a sei mesi dall’intervento, in tempo per la volata finale verso lo Scudetto. I sacchiani griffano una rimonta pazzesca sul Napoli di Maradona e arrivano a giocarsi i titolo proprio in casa degli azzurri: per il Tricolore bisogna solo vincere. E così è: il Milan vince per 3-2 e annichilisce il San Paolo con una prestazione sensazionale. Decide proprio lui, Marco van Basten: il Cigno subentra nella ripresa e firma la terza rete rossonera, suggello al primo successo dell’epopea berlusconiana. Un trionfo che, sommato all’Europeo vinto con la Nazionale, lo spinge nel 1988 alla vittoria del Pallone d’Oro: sarà il primo di tre totali.
Marco van Basten, primo violino di un’orchestra armoniosa e perfetta
Il Milan di Sacchi vince e convince al primo colpo. Ma il meglio, per van Basten e per la squadra, deve ancora arrivare. È la stagione successiva, la 1988-1989, che fa entrare il gruppo direttamente nella leggenda. Il campionato non è fortunato come il precedente – lo Scudetto finisce sul petto dei cugini dell’Inter – ma la scelta societaria è precisa: il Diavolo avrebbe concentrato tutte le forze e le energie per la Coppa dei Campioni.
Il cammino non è privo di ostacoli (su tutti la doppia sfida con la Stella Rossa di Belgrado, portata a casa grazie a una nebbia salvifica), ma il Milan arriva sino in fondo al torneo. E stravince: prima schianta il Real in semifinale, dominando (pur pareggiando) a Madrid e devastandolo 5-0 a San Siro, poi in finale su un’inerme Steaua Bucarest, battuta per 4-0 al Camp Nou al cospetto di 80 mila tifosi milanisti. “Dopo aver visto questo Milan, il calcio non potrà essere più lo stesso” titola il prestigioso quotidiano L’Equipe per celebrare una squadra leggendaria. Van Basten è il primo violino di un’orchestra sensazionale: ammutolisce il Bernabeu con una rete da cineteca, firma un gol nel pokerissimo del Meazza sulle Merengues, griffa la finale con una fantastica doppietta. E rivince ancora il Pallone d’Oro.
I sogni milanisti continuano a realizzarsi anche nel 1990. Il campionato è ancora amaro, con lo Scudetto che non torna rossonero e va al Napoli (a causa anche di qualche episodio controverso, in particolare nella famigerata “Fatal Verona”), ma in Europa è sempre la stessa storia. I ragazzi di Sacchi rivincono Coppa dei Campioni, Supercoppa Europea e Coppa Intercontinentale, bissando la tripletta europea come mai nessuno prima di loro. Van Basten segna meno della stagione precedente e non firma la vittoria finale (il match winner è il connazionale Rijkaard), ma resta la “ciliegina” sulla torta, primus inter pares nel fenomenale collettivo plasmato dal Profeta di Fusignano.
Sacchi-van Basten: stima e rispetto, non amore
Qualcosa, però, inizia a scricchiolare. Il Milan è nella leggenda, grazie ai titoli internazionali messi in bacheca e a un gioco intenso e rivoluzionario, figlio di un’organizzazione tattica ossessiva e asfissiante per gli avversari, incapaci di opporsi al ritmo infernale imposto dai sacchiani. Asfissiante anche, e forse soprattutto, per i giocatori stessi del Milan, spremuti mentalmente dal quel collettivismo spinto. Van Basten ne soffre più di tutti: il ragazzo è intelligente e conoscitore di calcio, ma mostra sempre più insofferenza verso il calcio martellante e soffocante di Sacchi. Ufficialmente non arrivano né aut aut né scontri diretti tra l’olandese (e più in generale la squadra) e il tecnico, ma i flop sul campo del 1991 e un clima non più idilliaco a Milanello segnano la fine del ciclo di Arrigo Sacchi.
“Sacchi e Capello sono due grandi allenatori, ma personalmente preferisco Capello. Lasciava spazio all’inventiva dei giocatori, ci dava la possibilità di improvvisare. Con Sacchi ogni mossa era studiata in modo ossessivo.” (Marco van Basten)
Addio Sacchi, ecco Fabio Capello. Ex calciatore di Serie A (anche al Milan), ma solo fugaci esperienze in panchina tra la Primavera rossonera e la Prima Squadra, guidata appena sei gare sul finire della stagione ’86-’87. È dirigente della Polisportiva creata da Berlusconi attorno al Milan ed è proprio lui, il presidente, a scegliere personalmente l’allenatore un’altra volta, stupendo tutti come fatto quattro anni prima con Sacchi. E, proprio come con Arrigo, azzeccando in pieno la decisione.
L’arrivo di Capello in panchina coincide con il ritorno di van Basten ad altissimi livelli. Meno imbrigliato tatticamente e più libero di testa, torna a medie gol altissime e rivince la classifica dei cannonieri di Serie A, portando il Milan in surplus alla conquista dello Scudetto. Il 1992 è la seconda vetta più alta della carriera di Marco dopo il biennio ’88-’89: riempie i tabellini italiani ed europei, marca uno storico poker in Champions League (il primo mai realizzato) in un Milan-Goteborg 4-0, si aggiudica il terzo Pallone d’Oro della carriera, eguagliando due mostri sacri come Cruyff e Platini. Nessun dubbio: è il calciatore più forte in circolazione.
Marco van Basten, fuoriclasse di cristallo. Colpa di una caviglia maledetta
Ma la sorte non è amica di van Basten. E la caviglia, martoriata da acciacchi e operazioni, non gli dà pace. Arriva la decisione secca di andare sotto i ferri per la terza volta, contando di tornare a disposizione della squadra in vista del rush finale di stagione. Il recupero non procede secondo le attese e la caviglia non migliora, nonostante i tempi di recupero dilatati. L’olandese rientra in campo, ma è dolorante e lontano dal top della condizione. Stringe i denti e gioca la finale di Champions League, ma per il Milan e per il Cigno di Utrecht è una serata “no”: vince il Marsiglia per 1-0. Il 26 maggio 1993, ad appena 28 anni, Marco van Basten gioca l’ultima partita della sua folgorante carriera.
“No, non potrò davvero più tornare a giocare a calcio. Voglio solo tornare ad avere la camminata normale che hanno tutti e che avete anche tutti voi.” (Marco van Basten)
Marco prova a tornare in campo, ma senza riuscirci. La quarta operazione chirurgica alla caviglia e due anni di lavoro non portano l’esito sperato: lavora con i compagni nel pre campionato ’95-’96, ma le condizioni fisiche precarie non gli consentono nemmeno di camminare normalmente. E lo costringono ad appendere per sempre gli scarpini al chiodo. Il 18 agosto 1995 scorrono lacrime amare: van Basten saluta San Siro per sempre, consegnando alla storia del calcio una delle sue pagine più tristi. Uno dei fuoriclasse più puri di tutti i tempi smette senza essere arrivato ai trent’anni, per colpa di una caviglia malconcia e tanta mala sorte. “Il calcio perde il suo Leonardo da Vinci”, il commento laconico di Galliani. L’addio al calcio del Cigno di Utrecht è un giorno di mestizia per tutti gli amanti dello sport.
Tanti campioni sono stati accostati a Marco van Basten nel corso degli anni, nel tentativo di trovare un degno erede a uno dei migliori centravanti della storia del calcio. Su tutti Zlatan Ibrahimovic, il più vicino per caratteristiche fisiche e tecniche sin dai tempi dell’Ajax, mentre in tempi più recenti è stato Robert Lewandowski a fregiarsi dell’onorevole paragone con il Cigno di Utrecht. Ma nessuno ha saputo raggiungerne la grandezza e offuscarne anche solo in parte il mito, destinato a vivere in eterno.
Dopo il ritiro, van Basten si mette in gioco come allenatore. L’inizio nelle giovanili dell’Ajax, poi l’occasione di sedere sulla panchina della Nazionale olandese (che guida senza particolare fortuna a un Mondiale e a un Europeo), le esperienze con Heerenveen, AZ e Ajax, senza lasciare particolari tracce del proprio operato. Oggi è consulente FIFA nel nuovo corso di Gianni Infantino: un ruolo nelle retrovie, lontano dai riflettori, per una leggenda il cui nome rimarrà invece sempre ben impresso nella storia del Milan.